Appunti di Etologia Equina: L’uomo e il Cavallo

Come in tutte le attività umane esistono molte correnti di pensiero e scuole di riferimento. Cosa che l’Equitazione non sfugge a questa regola.
Presupposto alle disquisizioni che si andranno a fare, devo per onestà intellettuale dire che noi proveniamo dall’approccio scientifico, ossia da quella scuola di riferimento egualmente ripartita tra Psicologia ed Etologia e quindi alla base, studi seri, condotti soprattutto negli ultimi tempi da Veterinari Ippiatri Etologi.
Posto questo.
L’uomo e il cavallo hanno delle similitudini.
Innanzi tutto facciamo parte della stessa famiglia, ossia siamo Mammiferi, poi siamo animali sociali e quindi abbiamo in comune alcune strutture della dinamica del gruppo, abbiamo simili canali di comunicazione, giusto per citare i punti in comune.
Quello che ci divide invece è il fatto che noi siamo stati per migliaia di anni (e lo siamo ancora) predatori, mentre il cavallo è sempre stato preda.
Noi abbiamo affinato tecniche di predazione, il cavallo tecniche di fuga.
L’uomo è eterocentrato, il cavallo è autocentrato, ossia, l’uomo ha espanso a dismisura il suo IO fino a credere che la sua felicità dipenda dagli altri, da ciò che possiede, da ciò che lo rappresenta a livello sociale, il cavallo non ha un IO così “patologico” e ha capito che al di fuori del soddisfacimento dei bisogni primari non dipende da nessuno se non da lui stesso, soprattutto a livello emotivo.
L’uomo trasmette sul cavallo a livello inconscio bisogni, simboli e attribuzioni, cosa che il cavallo non fa sull’uomo.
L’uomo ha bisogno del cavallo per tanti motivi, il cavallo no.
L’uomo di solito nell’80% dei casi ha un modulo comportamentale uguale a seconda delle situazione e di fatti l’uomo è nevrotico (ossia fissazione di un certo comportamento in relazione alle situazioni ambientali) mentre il cavallo a livello psicologico si adatta in modo eccezionale alle situazioni, può essere montato e diventa l’altro “Se” del cavaliere, viene messo al prato e ritorna a essere cavallo, una volta che si è nutrito (soddisfacimento dei bisogni primari) allora da sfogo al gioco tornando per pochi istanti puledro/a.
L’uomo ha uno sviluppo cognitivo dinamico, il cavallo ha lo sviluppo cognitivo di un bambino di 5 anni (vedi teoria stadiale piagetiana).
L’uomo porta all’eccesso le sue emozioni, il cavallo le sa gestire e le ha, nonostante molti mettano in dubbio questo.
Oggi, da parte di pseudo etologi, va molto di moda la parola “empatia”.
E’ diventata il grimaldello lessicale per discorsi che non centrano assolutamente nulla con il rapporto corretto e cosciente con il cavallo. Cosa significa la parola “empatia”?:
– proiezione dei propri stati emotivi sull’oggetto estetico o affettivo – capacità di immedesimarsi in un’altra persona e di calarsi nei suoi pensieri e stati d’animo –
Enunciato questo, significa che l’uso della parola “empatia” nel rapporto uomo e cavallo è da ritenersi assolutamente arbitraria e fuorviante, in quanto innanzi tutto l’empatia si applica sulle persone e soprattutto per quanto specializzati noi esseri umani, non possiamo per nostri squisiti limiti metterci nella mente del cavallo, laddove non c’è una analisi approfondita della sua costruzione mentale, possiamo immaginare, ipotizzare un certo stato d’animo, ma da qui, sentirsi cavalli, la trovo una cosa alquanto azzardata, soprattutto nel trasferire al cavallo la proiezione dei propri stati emotivi. Se una persona è un nevrotico, trasferirà sul cavallo i tratti patologici della sua strutturazione personale e quindi avrà una lettura sfalsata del comportamento del cavallo, in quanto avendo un uso arbitrario dell’empatia non avrà mai la lettura precisa di quel dato comportamento, anche se, le persone sensibili sanno “ascoltare” il cavallo, perché ne sanno decrittare adeguatamente i suoi stati d’animo, ma un conto è la sensibilità che proviene dalla conoscenza, un conto l’empatia quando questa è usata in modo arbitrario e sbagliato.
Io posso capire un cavallo, e lo posso “sentire” perché conosco il cavallo dal punto di vista psicologico senza attribuirgli cose non proprie e quindi io soddisfo i suoi bisogni primari e secondari nel momento adatto, con solerzia, coerenza e correttezza d’azione, un conto, sentirmi cavallo e attribuire ad esso funzioni, stati d’animo non suoi o non corretti perché provengono dalla mia percezione che a livello inconscio potrebbero essere sbagliati e quindi si incorre in quella palude melmosa e pericolosa che si chiama antropomorfizzazione, ossia, trasferire sul cavallo strutture simboliche tipiche dell’essere umano, ossia “umanizzarlo”.
Nel momento in cui un “etologo” o presunto tale, mi umanizza il cavallo usando il concetto di “empatia”, va a farsi benedire la correttezza della relazione, che diventa falsata, scorretta e pericolosa.
Ecco enunciata la sostanziale differenza tra Etologo che persegue l’indirizzo scientifico e quelli che si inventano etologi dall’oggi al domani senza avere una cognizione ben precisa dell’essere cavallo.
Ricordo poi, che molta gente “vuole” percepire il cavallo a seconda dei suoi sogni e bisogni, caricando la relazione di simbologie inconsce in cui rientrano in modo patologico anche tratti nevrotici della persona.
Il cavallo altri non è che un animale che ha una buona intelligenza adattativa, intuitiva, un animale sensibile che “sopporta” la compagnia dell’essere umano facendo una sorta di compromesso con s’è stesso, è specializzato nel correre e scappare e se ci accetta è perché abbiamo messo in essere una relazione corretta.
(Maneggio San Paolo-Accademia Equestre)